Trento, 9 aprile 2002 
        “LO STELVIO ATTENDE UN PIANO DA ANNI” 
        L’Assessore Berasi, al contrattacco, nega ipotesi di nuovi  impianti 
        Intervista  a Iva Berasi  
de l’Alto Adige di martedì 9 aprile 2002 
       Le hanno imputato una posizione non troppo lineare  a difesa del Parco dello Stelvio. Gli ambientalisti ieri non sono stati teneri  con l’assessore Iva Berasi: “Più che verde dovrebbe essere rossa di vergogna”.  Lei non si scompone. E ribatte colpo su colpo. Partendo da una convinzione: “Se  ci fosse un Piano territoriale del Parco molti problemi sarebbero risolti”. 
        Assessore, Giorgio Rigo e Francesco Borzaga le muovono  accuse pesanti. 
       Non credo spetti a loro stabilire chi sia o non sia verde,  tanto più che loro dei Verdi non hanno mai fatto parte. Prendo atto di non  godere della loro fiducia, mi dispiace, ma non ne faccio un dramma. Chi insulta  i propri interlocutori, di solito è a corto di argomenti fondati. 
      Veniamo al Parco. E al suo futuro. 
        Walter Micheli, qualche giorno fa sul vostro giornale ha  ammesso che il Parco dello Stelvio è stato istituito nel 1930 e lì è rimasto.  Riconosce – lui che ne è stato coautore – il sostanziale fallimento del modello  di gestione uscito dall’accordo di Lucca. 
      Lei quindi è d’accordo con Micheli. 
        Non sono così pessimista e non credo siano stati dieci anni  di “guerriglia” fra Consiglio e Comitati di gestione, per usare la parole forti  di Micheli. Nel breve periodo, fra le Presidenze Mottana ed Osio, ad esempio,  alcune direttive del Presidente pro tempore, Donato Nardin, avevano chiarito i  rapporti e le competenze fra Consiglio e Comitati e fra i vari organismi  tecnico-amministrativi, garantendo un periodo di relativa tranquillità nella  gestione. Del resto penso che lo stesso Micheli, a mente fredda, riconosca che  qualche passo avanti lo si è pur fatto. 
      Ma ora siete all’impasse. 
        L’accordo di Lucca richiede una applicazione non equivoca, è  una conferma, a posteriori, che occorre intervenire sulle norme che regolano la  gestione del Parco, senza mettere in discussione quell’accordo che va invece  salvaguardato e valorizzato in tutti i suoi aspetti. 
      Come? 
        Si tratta di trovare un punto di equilibrio che garantisca  operatività agli organismi che, a vario titolo e, con diversi compiti, oggi  gestiscono il Parco. La strada è quella di una interpretazione condivisa del  D.P.C.M. del 1993. E’ una riflessione che abbiamo impostato nella riunione di  Roma della scorsa settimana e che non ha nulla a che vedere con i destini del  Presidente Osio (di nomina ministeriale, ed in scadenza nel 2004) o con  ipotizzati progetti di impianti sul versante lombardo del parco, che, per  quanto ne so, nessuno ha intenzione di autorizzare. 
      E quindi? 
        Sottoscrivo quanto affermato da queste colonne da Moroder,  Cipra: se ci fosse un Piano territoriale del Parco, tutto sarebbe più semplice  e tranquillizzante per tutti. Ma il Piano non dovrebbe adottarlo proprio quel  Consiglio direttivo presieduto da Osio? Perché a distanza di anni il Piano  ancora non si vede e non si può discutere pubblicamente? Forse si può  seriamente ritenere che un Presidente – sia pure autorevole, competente e di  cui personalmente ho stima – possa garantire più di una norma codificata o di  un Piano? 
      Nessuna dietrologia dunque? 
        Ogni altra affermazione per quanto riguarda le intenzioni  del mio assessorato e della giunta provinciale, allo stato è pura illazione.  Certo, non aiutano un confronto sereno, il clima di rissa e gli insulti di  qualche sedicente esperto di Parco dello Stelvio. 
        A meno che la segreta illusione di costoro non sia quella di  poter continuare con altri “dieci anni in un clima di guerriglia”. Credo che il  Parco non possa permetterselo. 
        
      
        
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